Brevi cenni sugli attacchi di panico
Negli ultimi anni si è assistito ad un aumento della casistica relativa al disturbo da attacco panico.
Gli attacchi di panico sono una sindrome caratterizzata dall’insorgere improvviso di sensazioni intense di preoccupazione, ansia incontrollabile, paura angosciante e senso di imminente catastrofe ed associata a sintomi fisiologici diversi quali tachicardia, dispnea, spasmi muscolari, vertigine, dolori gastrici, etc...
Centrale nel vissuto del soggetto in preda ad una crisi di attacco panico è il timore di poter perdere il controllo di sè, del proprio corpo e del proprio equilibrio psichico, lungo un continuum di sensazioni marasmatiche al cui limite estremo si situa la paura stessa di morire durante il culmine della crisi. Il pensiero poi di non poter avere alcun appiglio o sostegno disponibile durante tali crisi rende ancora più problematica per il soggetto la gestione della situazione, creando una sorta di "visione tunnel" dell’esperienza critica, fondata essenzialmente sulla anticipazione di sensazioni spiacevoli che vengono così paradossalmente evocate.
Appare quindi evidente come la componente psicologica del disturbo sia basata sull’assunzione "forzata" di un’atteggiamento mentale in cui emergono vissuti di impotenza e passività rispetto ad uno sconvolgimento emozionale ed organico dove il proprio funzionamento psicofisico subisce un grave scacco, accompagnato spesso da vissuti di vergogna, disistima, svalorizzazione di sè e sensazione di incapacità. E’ infatti proprio questo carico di stati d’animo negativi che, rinsaldandosi nel tempo attraverso crisi successive, determina una accresciuta vulnerabilità del soggetto di fronte alle crisi e costituisce un ulteriore fattore precipitante della cronicizzazione del sintomo.
La casistica clinica individua, quale possibile fattore causale nella maggior parte dei soggetti che soffrono di questi disturbi, la presenza di specifici cambiamenti insorti nella loro vita, cambiamenti la cui intensità in termini di perturbazione dell’equilibrio precedentemente raggiunto può variare da un grado lieve ad uno elevato e richiedere adattamenti e modificazioni a livello psico-affettivo-comportamentale che non sempre vengono raggiunti in tempi ottimali, e talvolta purtroppo neanche in tempi molto lunghi; con questo ci si innesta, quindi, all’interno di un più ampio discorso circa le diverse capacità individuali nell’affrontare con successo determinati fattori di natura ansiogena o stressante.
Rimane comunque il fatto che eventi nuovi, spesso inattesi, a tonalità negativa e che determinano o piuttosto costringono ad una riorganizzazione anche drastica del proprio stile di vita e della propria sfera affettiva, quali ad esempio maggiori responsabilità, separazioni, trasferimenti, perdita del lavoro, conflitti interpersonali, etc., possono avere un impatto troppo forte in un certo momento della vita dell’individuo e provocare un malessere psicofisico quale unica possibile risposta della persona, incapace nell’attuale di elaborarlo in maniera più efficace ed in termini adattativi attraverso il pensiero e la risonanza emotiva e che rischia di divenire cronico qualora le risorse messe in campo dal soggetto non siano sufficienti da sole ad operare una progressiva riequilibrazione dello stato psichico complessivo.
I migliori risultati nella cura del dap vengono oggi ottenuti utilizzando una terapia psicologica, spesso di tipo comportamentale, che offre il vantaggio di risultati positivi già in un periodo di tempo ragionevolmente breve, supportata da tecniche di rilassamento basate su esercizi respiratori, quali il training autogeno, combinata con l’assunzione di farmaci psicotropi.
Dott. Fernando Maddalena - Psicologo Psicoterapeuta - Chieti
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