Pian piano le autorità pubbliche si renderanno conto che occorre capire e assecondare il modo di pensare del virus. Un virus non nasce allo scopo di uccidere l'organismo che lo ospita. Nasce per riprodursi.
di Nicola Ghezzani
Che cosa accadrà
Per capire il coronavirus bisogna capire come pensa un virus.
Un virus, come qualunque organismo che si autoreplica, pensa essenzialmente a sopravvivere. Sin dai livelli più elementari, gli organismi biologici hanno come unica meta replicarsi, e per farlo devono conservare l'ambiente in cui la replicazione avviene. Anche un virus, per sopravvivere, deve salvare il suo ambiente, cioè il suo organismo ospite. Nel caso che ci interessa, l’organismo ospite è l'uomo.
Purtroppo nel caso del covid-19 le cose sono andate diversamente. Il coronavirus non ha trovato di fronte a sé un piccolo ecosistema in cui adattarsi; ha trovato invece il mondo globalizzato, con un'immensa megalopoli ai suoi piedi, Wuhan, una megalopoli di 11 milioni di abitanti, dove ha fatto la sua prima apparizione. Poi ha trovato gli aerei, troppi aerei, che lo hanno diffuso in altre immense megalopoli (la Lombardia è una rete di città, è cioè una grande megalopoli). L'eccessiva disponibilità di organismi da infettare l'ha reso più veloce di quanto la natura volesse e ciò ha sortito un effetto slavina, valanga. Come un'immensa palla di neve è arrivato in Europa a velocità supersonica.
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La natura non aveva intenzione di creare un mostro distruttore, il fine è co-adattare gli organismi fra loro. Per dimostrarvelo, vi invito a fare un piccolo esperimento. Provate a vedere il film rallentato... Immaginate che l’infezione non sia accaduta così velocemente ma in tempi più lunghi. Se tutto ciò a cui stiamo assistendo fosse accaduto lentamente (non in due mesi, ma in dieci anni, coi sistemi sanitari in grado di reggere), il virus pian piano si sarebbe adattato al nostro organismo, abbassando il tasso di letalità, senza uccidere troppe persone, e soprattutto non così in fretta. Gli ospedali si sarebbero salvati e la nostra civiltà sarebbe sopravvissuta (come accadde con la febbre spagnola, nel 1918). Fra dieci anni probabilmente il coronavirus 19 sarà un qualunque virus influenzale a bassa letalità (due, trecentomila morti l'anno nel mondo). Il problema è che è stato velocissimo, e che questa velocità ha fatto crollare i sistemi sanitari del mondo e con essi, a breve, anche le istituzioni politiche.
Secondo il Baylor College of Medicine di Houston in Texas ci potrebbero volere anche 3 o 4 anni prima di avere un vaccino. Ma in realtà ce ne potrebbero volere molti di più. Nel frattempo sarà tutto diverso: il mondo che conosciamo sarà completamente cambiato. Il mondo di quelli che oggi hanno 50 anni (e a maggior ragione dei più vecchi) sarà crollato. Occorrerà andare incontro al grande cambiamento. Il traffico aereo sarà più che dimezzato, il traffico di merci affidato a macchine, il controllo del territorio sarà capillare. Saranno necessarie salute mentale e idee nuove.
Chi ha visione ed immaginazione dovrebbe cominciare a prevederlo già da adesso.
Vivere nei limiti
Pian piano le autorità pubbliche si renderanno conto che occorre capire e assecondare il modo di pensare del virus. Un virus non nasce allo scopo di uccidere l'organismo che lo ospita. Nasce per riprodursi. Ma lo ha sempre fatto in ecosistemi circoscritti. Questo virus era endemico in popolazioni di pipistrelli chiuse in piccoli spazi forestali inaccessibili. Lì uccideva un numero limitatissimo di ospiti e non dava alcuna conseguenza ai più. E non si diffondeva oltre quello stretto confine. Poi è stato diffuso dalle stravaganti abitudini alimentari ed ecologiche della specie Homo (la “Specie malata”, come la definisco nel mio ultimo libro: malata per aver gestito male la sua libertà dai vincoli istintuali ed ecologici) e si è trovato ad invadere un immenso spazio globale. Un protagonismo non previsto dalla natura.
Ora le autorità pubbliche si rendono conto che occorre ricostruire quegli spazi ecologici limitati che possono favorire il controllo del virus: niente crociere e voli aerei (se non quelli necessari), niente spostamenti al di fuori dell'area locale, niente assembramenti, ecc. per evitare che una massa di contagiati travolga le fragilissime strutture del sistema sanitario. La contrazione in casa che ci viene ordinata (finalmente, non solo “consigliata”) è la premessa per ridurre l'espansione del virus, quindi per poter ripristinare in futuro alcuni spazi ecologici compatibili. Per poterci permettere l'attuale fase di drastica riduzione, dobbiamo apprendere a rimodulare la nostra mente. Vivere in spazi ristretti significa veder esplodere conflitti sopiti, sia coniugali che generazionali. Significa veder esplodere sintomatologie psichiche che erano latenti. Significa dover sopportare la limitazione della fantasia e del desiderio. Il mio consiglio è di dare alla mente e al corpo una nuova organizzazione.
Vi do quattro piccoli consigli.
- PRIMO, usare la rete solo per informarsi un paio di volte al giorno e per comunicazioni necessarie. Il rischio che la rete vada in sovraccarico è oggettivo. Lo stesso vale per ogni altro servizio: la luce, il gas ecc.
- SECONDO, tenere un regolare rapporto fra veglia e sonno: anche se siete inquieti e non dormite, restare a letto al buio tutte le ore dedicate al sonno, ciò manterrà in equilibrio l'alternarsi circadiano, giornaliero, delle molecole della quiete e del sonno nel vostro organismo. Se i vicini, gli adolescenti in particolare, disturbano questo ritmo, chiedete loro di essere solidali. Un anziano può essere ucciso dalla mancanza di sonno, un professionista può essere danneggiato. Se tuo figlio adolescente disturba, ascolta musica anche la notte, inverte la notte col giorno, aiutalo a cambiare.
- TERZO, fare esercizi di yoga o di ginnastica da camera, da soli o in famiglia: a questo scopo si può richiedere la guida dei maestri e degli istruttori che sono attivi online.
- QUARTO, chiedere aiuto agli psicologi che lavorano online, che sono ormai la maggioranza. Vi aiuteranno ad affrontare conflitti emersi di recente e sintomi destabilizzanti (ansie, angosce catastrofiche, panico, idee ossessive, fobie alimentari, ipocondria, depressione, derealizzazione, ecc.).
I servizi pubblici devo essere decongestionati; i servizi privati devono al contrario essere tenuti vivi, attivi. La vita deve riprendere dai livelli più essenziali.
Un consiglio
Un consiglio che vorrei dare ai miei amici e lettori è di non rifuggire dagli impegni presi con se stessi prima della crisi sanitaria che stiamo oggi attraversando. L'angoscia può avere almeno due esiti egualmente patologici: la fuga maniacale in una pericolosa negazione del problema, e l'ansia catastrofica, con gravi spunti depressivi, che introduce il caos nell'ordine pregresso. In entrambi i casi si tende a sfuggire alle mete che ci si era prefissi di raggiungere. Ma così agendo si rende l'emergenza più pericolosa, o per la salute fisica o per la salute psichica.
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Chi ha in corso una psicoterapia (o qualunque altra terapia) o una iniziativa importante per la propria vita, la porti avanti. Il mondo resta lì, ad attenderci. Non sarà fuggendo da esso che ne eviteremo il peso. Fatto il nostro dovere di salvaguardare la salute, riprendiamo i nostri impegni nelle modalità più consone. Faccio presente ai colleghi e agli amici che la psicoterapia, come molte altre attività, viene svolta con efficacia online (p. es. su Skype o su WhatsApp) o anche per telefono. Almeno per le settimane e forse i mesi necessari a superare questa inattesa emergenza.
Darsi tempo
La cosa peggiore, in certi momenti della vita, è farsi prendere dalla frenesia.
La comunicazione via internet, e soprattutto lo smartphone, ci hanno abituato a un tempo rapido e a una concentrazione di brevissima durata. L'epidemia in corso ci incalza col suo passo angoscioso: l'empatia ci porta a soffrire anche per chi è lontano; l'istinto di sopravvivenza ci sovraccarica di ansie per la salute nostra e dei nostri cari. Tutto spinge ad una frenetica ricerca di informazioni sui media, che spinge a sua volta il mondo dell'informazione a riciclare frammenti di vecchie notizie con titoli sempre più forti, aggravando il carico di angoscia.
Questo attuale, però, non deve essere il momento della frenesia. Per evitare il caos mentale è importante restituire al tempo la sua dimensione. La Scienza ha bisogno di tempo: gli scienziati studiano le vecchie ricerche e i vecchi rimedi, talvolta hanno intuizioni nuove; ma poi devono proporre, discutere, sperimentare. Talvolta si può già sperimentare sull'uomo, altre volte bisogna farlo prima sugli animali. Occorre aspettare. Lo scienziato ha i suoi tempi; la Scienza ha i suoi tempi. Il personale sanitario è incalzato dalla massa dei malati, ma poi il gesto dell'operatore deve essere fermo e calmo e la natura deve fare il suo corso.
Il tempo servirà al sistema sanitario per organizzarsi, curare i medici infetti, dotarsi degli strumenti necessari.
Infine, il tempo è necessario anche al virus per adattarsi all’organismo umano senza fare troppe vittime. Se ne rallentiamo la corsa, non darà luogo a mutazioni pericolose: è il numero di atti replicativi che aumenta la probabilità di una mutazione.
Dare tempo al tempo, si diceva una volta. Se ci dedichiamo al rispetto reciproco, alle regole che ci vengono prescritte (prima fra le quali restare a casa e non esporci), se ciascuno farà il suo lavoro, come facciamo noi psicologi, avremo già occupato bene il nostro tempo.
Di tempo ce ne vorrà. Ma non dobbiamo scomporci.
(Articolo a cura del Dottor Nicola Ghezzani, Psicologo, Psicoterapeuta, Saggista, Scrittore)
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